San Fele

Le origini di San Fele risalgono intorno all'anno 1000, quando Ottone I di Sassonia fece edificare in quest'area un castello fortezza per avvistare eventuali assedi da parte dei Bizantini. Circa un secolo dopo cominciarono a sorgere intorno al castello i primi nuclei abitativi; il quartiere sviluppatosi lungo le pendici del Monte Castello è stato rinominato "Rione Costa".

San Fele ospitò Ruggero II e papa Onorio II che qui stipularono i primi accordi di pace per porre fine allo scontro tra normanni e papato. Nel corso dei secoli, Il borgo ha visto il susseguirsi di diverse dominazioni, diventando poi nel 1432 feudo dei Caracciolo e, successivamente, proprietà dei Doria nel '600. Il piccolo centro rurale è noto per la presenza del suo territorio di uno dei più antichi e misteriosi santuari della Basilicata: Santa Maria di Pierno. Nei dintorni del centro abitato, è possibile far visita alle Cascate di San Fele, immerse in un paesaggio dalla bellezza unica. Le Cascate prendono il nome da “U uattenniere”, la trasposizione dialettale di “gualchiera”, macchina utilizzata in antichi opifici per la lavorazione della lana.

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Pro Loco San Fele



San Fele nel Parco

Il 5,2% del suo territorio comunale, circa 514 ettari, rientra all’interno del Parco. Il Bosco Santa Croce si sviluppa attorno la zona del santuario di Santa Maria di Pierno mentre il Bosco Monte dello Squadro è ricco di varietà floristica e di sorgenti d’acqua. L’area che rientra all’interno del Parco è quella interessata dalle cascate prodotte dai salti del Torrente Bradano (o Bradanello) che nasce in località Matise, per poi confluire nella Fiumara di Atella e poi nell’Ofanto. Sono tutti luoghi prediletti dalla lontra che qui non ha mai smesso di abitare. I sentieri che conducono alle cascate non sono altro che vecchie mulattiere, utilizzate dagli abitanti in località Montagna per giungere in paese. Poco vicino, è possibile osservare, a Serra Manarella, un esempio di fenomeni che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’Appennino Meridionale. Il fianco esterno dell'anticlinale di San Fele è espressione superficiale di una grossa struttura geologica che si spinge in profondità, fin oltre i 5000 metri.


Percorso nella storia

San Fele è un centro di stampo medioevale, con tracce di frequentazione delle prime popolazioni lucane e della Magna Grecia, situato nella parte nord-occidentale della regione ad 872 m s.l.m., arroccato tra il Monte Castello e il Monte Torretta. Fa parte della ex Comunità Montana del Vulture.

Proprio a chi vi giunge dalla zona del Vulture, appare in posizione pittoresca, quasi come un presepe, incastonato tra i due monti. Le file di case, abbarbicate al ripido pendio del Monte Castello, formano una struttura compatta, che nitida e imponente si staglia tra il cielo e la campagna sottostante. È la parte dell’abitato che dà ad Est. Man mano che si procede lo scenario cambia, compare il versante Ovest. Benché si disponga di notizie piuttosto frammentarie, si può affermare che le sue origini sono antichissime. Ma come nasce? Da dove proviene il nome? San Fele, storicamente apparteneva al feudo corrispondente alla Valle di Vitalba. «Tancredus Sancti Felís dixit Sanctum Felem, quem tenet essefeudum...» «Tancredi di Santo Felice, detto Santo Fele, signore del feudo...» (Attestato degli anni 1150-1168, dal Catalogo dei Baroni).

Il suo nome in origine fu Santo Felice; le forme Santo Fele e San Fele (quella ufficiale) derivano dal latino Felix, Felicis, ma nella forma del nominativo Felix. In epoca antica, il territorio di San Fele fu abitato dagli Ausoni, un popolo che si pensi provenisse dall’Asia, che lasciarono diverse testimonianze nel circondario del comune. Alcune campagne di scavo, nelle zone di Santa Croce, di Pierno, delle Maurelle, della Civita, hanno permesso il ritrovamento, in grotte naturali, di graffiti databili al III-II millennio a.C. attribuiti al popolo degli Ausoni. Il ritrovamento di vasellame e anfore di manifattura greca conferma una frequentazione del luogo in età molto lontane. Questi reperti testimoniano l’alto grado di civiltà a cui erano pervenuti i Lucani. Il nucleo della città ebbe origine nel 969 d.C., con l'edificazione di un castello fortezza, voluto da Ottone I di Sassonia, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, per avvistare e fronteggiare eventuali assedi da parte dei Bizantini e, circa un secolo dopo, iniziarono a sorgere intorno al presidio i primi centri abitati. Il quartiere sviluppatosi lungo le pendici del Monte Castello è stato rinominato "Rione Costa". Il castello fortezza era "di forma bislonga e fabricato a guisa di un vascello [...] Federico II lo strinse anchora, e per renderlo del tutto inespugnabile, e lo fiancheggiò di alcune mezze lune e torrioni"; questo è quanto riportato nella relazione di Ardoini del 1674, ma al tempo in cui scriveva era "quasi distrutto e con la sola prospettiva di mura". Nel 1036, alcuni ribelli milanesi che osteggiavano l'arcivescovo di Milano furono confinati a San Fele e, liberati da Corrado II, rimasero ivi a causa dell'epidemia che colpì Milano. Gli esuli milanesi si imparentarono con le popolazioni della vicina valle di Vitalba, formando le prime famiglie della città. Vitalba cominciava a spopolarsi a causa della malaria che costringeva i suoi abitanti a trasferirsi sulle alture per trovare aria più salubre e San Fele accoglieva nuovi ospiti e vedeva aumentare il numero delle sue abitazioni.

San Fele ospitò Ruggero II e papa Onorio II che qui stipularono i primi accordi di pace per porre fine allo scontro tra normanni e papato. Nel corso dei secoli, Il borgo ha visto il susseguirsi di diverse dominazioni, diventando poi nel 1432 feudo dei Caracciolo e, successivamente, proprietà dei Doria nel’ 600. Nel lontano 1139, il paese divenne una Baronia ed ebbe il suo stemma: uno scudo sannitico su cui sono disegnati tre monti, Torretta, Castello e Castelluccio. Sulla cima del monte più alto c’è un genio alato, che regge un globo d’oro nella mano sinistra. In alto c’è il motto “son felice son fedele, stò sul monte per vedere. Ma, continuando il viaggio virtuale nel centro storico di San Fele, si arriva al più importante e rappresentativo monumento storico,

Cuore Spirituale del paese: LA CHIESA MADRE!

È situata nella centrale piazza Garibaldi, alla sommità di una scalinata monumentale, che la caratterizza in modo unico e che è diventata, ormai, luogo simbolo per i tanti curiosi in visita a San Fele per scattare una foto ricordo. Costruita da artisti locali nel 1514, riutilizzando materiale recuperato a seguito di crolli del castello e delle sue mura, la Chiesa Madre si trova ai piedi del Monte Castello, nella zona più alta del borgo. Con molta probabilità, il nome “Santa Maria della Quercia” deriva da una cappella del vicino palazzo gentilizio della famiglia Doria dedicata a questa Madonna.

Sulla scalinata principale è stata eretta la statua in memoria della canonizzazione di San Giustino De Jacobis avvenuta nel 1975. Molto semplice la facciata esterna caratterizzata da un rosone centrale e un orologio. Solo successivamente, si calcola tra il 1754 e il 1757, la chiesa fu dotata di un alto campanile e di una cupola, quest’ultima realizzata da discepoli della scuola del Vanvitelli. La Chiesa, più volte rimaneggiata dopo i numerosi terremoti, tra cui ultimo quello del 1980, oggi, dopo la ristrutturazione, si presenta in modo abbastanza aderente al suo aspetto originale, anche se al momento è ancora protagonista di lavori di restauro. L’esterno si presenta austero nella sua struttura architettonica tardo-romanica e la facciata è tutta di pietra viva di San Fele e si armonizza con il portale dell’ingresso principale, sormontato da un timpano con cornice aggettante. Ai lati del portale, due lastre marmoree commemorano la vita di San Giustino De Jacobis.

Quando si entra nella Chiesa si rimane stupiti dalla sua grandiosità nella semplicità. L’interno, spazioso e pieno di luce, presenta tre navate a croce greca con volte ad arcate, decorate da stucchi e gessi di stile barocco e da lesene che terminano con capitelli finemente ornati anch’essi da motivi floreali di stile barocco. Nella navata centrale, al centro della parete dell’abside vi è una colomba a raggera raffigurante lo Spirito Santo. Le navate laterali sono arricchite da altari di notevole fattura e da nicchie murarie con statue settecentesche. Sull’altare della navata sinistra è collocata la statua di San Giustino De Jacobis e nella parte sottostante è custodita una reliquia del Santo. Possiamo ammirare anche una pregevole tela, di autore ignoto, raffigurante Santa Rosa da Viterbo del XVII secolo, che faceva parte del Convento dei Frati Minori Conventuali, ora non più esistente. Bello e artisticamente molto apprezzato è l’Altare maggiore, tutto di fini marmi policromi, restaurato da Giuseppe Dondiego, artista di San Fele. Dietro l’altare, prima del 1980, una pala di legno in oro zecchino, lavorata ad intaglio, aveva in alto un’immagine scolpita raffigurante Dio immerso in uno spazio divino. Vicino all’ingresso vi è il battistero, realizzato nella metà dell’800, in pietra scolpita nella parte inferiore e sormontato da una cupola in legno di noce lavorato ad intarsio in quella superiore, opera di artisti locali. Due acquasantiere in pietra, anch’esse finemente lavorate, sono del 1500.

Nella navata sinistra vi sono due cappelle. La prima, del Sacro Monte dei Morti, a sinistra dell’ingresso principale, fu fondata il 2 settembre 1675 da don Antonio Del Monte, sacerdote dell’Ordine di Malta, con atto redatto dal “notar” Marco Tamangi. Nel 1678 il sacerdote fece testamento e lasciò alla Cappella tutti i suoi beni. In questa Cappella vi è l’Altare del Crocifisso, in cui è conservata la pisside. L’altra Cappella, dedicata a San Vito, fu fatta costruire per devozione da Nicola Marolda, canonico in Muro Lucano e dal fratello Masello, entrambi di San Fele, con l’obbligo di pagare mezza libbra di cera alla Mensa. Infine il pavimento era formato da lastroni marmorei con disegni ad incastro.

Dalla navata sinistra si accede alla Sagrestia, una volta provvista di grandi armadi in noce disposti simmetricamente e finemente lavorati, dove erano custoditi i paramenti sacri, preziosi per l’arte profusa da esperti mani di ricamatrici, e gli arredi. Dietro l’altare, sulla parete di fondo, a destra vi è un’entrata che immette nella scala che porta all’alto campanile. Questo è di forma quadrata, possente, costruito con blocchi ben lavorati, presenta delle belle monofore e termina con una cuspide piramidale. Nella Chiesa, fino ai tempi di Napoleone e non oltre il 1821, vi erano delle sepolture, tra le quali quelle riservate ai soli preti. Proseguendo la passeggiata nel centro storico, nella parte alta del paese, in direzione Monte Castello dove sono visibili i ruderi dell’antico Castello troveremo le abitazioni palazziali più importanti con portali maestosi.

Iniziamo dal Palazzo Frascella, ai piedi dei ruderi del Castello, costruito in periodi diversi secondo vecchi archivi proprio con le pietre dell’antico castello CastrumSanctiFelis. Costituisce un esempio importante dell’architettura del XVII secolo. Incastonato nella roccia, la sua struttura tutta in pietra si articola su tre livelli. Restaurato, anche se non completamente, per i danni subiti dal terremoto del 1980, domina con tutta la sua maestosità la vallata sottostante. Numerose le feritoie e le finestre bifore del prospetto principale, al centro vi è un portale d’ingresso archivoltato, realizzato anch’esso in pietra su cui spiccano decorazioni floreali di particolare pregio risultato della sapiente lavorazione di artigiani dell’epoca. Sormontato da una torre che anticamente doveva essere forse la base di un campanile a forma circolare, presenta un portale d’ingresso secondario con uno stemma ornamentale che era sicuramente la porta di entrata della servitù, ma si presenta comunque imponente. La famiglia Frascella ha dato lustro al nostro paese: tanti i suoi figli illustri che hanno fatto la storia (ad esempio il suo illustre concittadino Francesco Stia (nato a San Fele il 4.2.1826 da Giuseppe e Frascella Vincenza, ivi deceduto il 26.8.1878), Generale della Guardia Nazionale che si distinse nella lotta al brigantaggio ed in particolare alla cattura del brigante Crocco.

Proseguendo ci si imbatte in un’arcata che introduce proprio nel cortile di Palazzo Stia che fu la casa del generale Stia. L’arco di entrata è prettamente settecentesco ed in pietra chiara. Il portale di questo stupendo palazzo presenta dei basamenti con dettagli ornamentali raffiguranti la luna ed un animale alato. Nella parte laterale del portone v’è il picchiotto, cioè il martello con cui si bussava alla porta prima dell’uso dei campanelli. Scendendo dal Palazzo Frascella si rimane incantati dal Monastero di San Fele. Nel 1675, a San Fele, nella zona di Piano Castello, oggi via Francesco Stia, fu fondato il Conservatorio (Monastero) delle Suore di Clausura Visitandine dal vescovo don Alfonso Pacella sotto la regola di San Francesco di Sales (Salesiane). Il Monastero era rinomato per la rigida osservanza delle regole, per l’austerità e la morigeratezza dei costumi delle suore.

Con la legge eversiva del 15 Agosto 1867, il Conservatorio venne trasformato in Pio Convitto Scolastico Femminile e nel 1879 in Asilo Infantile. In seguito, col decreto di Vittorio Emanuele III del 25 Gennaio 1939 l’Asilo Infantile venne affidato alle suore Stimmatine e funzionò fino al 1975, quando venne chiuso, sostituito dalla Scuola Materna Statale. Le suore ora abitano nei locali della Canonica.

Oggi ospita la sala consiliare e l’itinerario non può non prevedere una visita anche al terrazzo dello stabile, molto affascinante e panoramica. Continuando la ripida discesa, troviamo il Palazzo Faggella. Anche i Faggella hanno dato il loro contributo alla causa rivoluzionaria. I suoi figli più illustri si distinsero per nobiltà e coraggio.

L’edificio in esame, ubicato in posizione preminente nel centro storico, costituisce un significativo episodio dell’architettura del XVIII secolo. Dotato d’impianto irregolare su quattro livelli con andamento discontinuo, presenta un paramento murario in muratura di pietrame ad intonaco grigio con una caratterizzazione di sobrietà romanica, che espressamente riprende l’edilizia gentilizia del tempo. Interessante il prospetto principale, scandito al piano terra da un sobrio portale d’ingresso archivoltato ed insieme architravato. Si aggiunge, inoltre, la gradevolezza, se non la leggiadria, di componenti decorative quali i balconi in ferro battuto e lavorato con sobrietà ed eleganza, non privi di riferimenti colti od eruditi quale, ad esempio, il fregio greco a meandro che impreziosisce il balcone sovrastante l’ingresso. Il Palazzo, dal 1992 è stato dichiarato monumento nazionale e posto sotto vincolo del Ministero per i beni culturali ed ambientali.

Oggi è sede del Municipio ed in una delle sue numerose stanze è esposto uno Stemma del nostro Comune. Esso raffigura tre monti, con un Genio alato posto su quello medio. Sulla sommità vi è rappresentata una corona, forse l’antico castello sanfelese. Nella parte inferiore si intrecciano due corone di alloro o di vischio.

Nel centro storico vedremo anche la casa di confino di Manlio Rossi Doria, un economista, meridionalista, politico e accademico italiano che ha vissuto alcuni mesi della sua vita in Basilicata, e nello specifico anche a San Fele.Un uomo che ha lottato per difendere le proprie idee e affermare i valori della nostra Costituzione.

Durante il fascismo, nel 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, Manlio Rossi-Doria fu inviato al confino in terra di Lucania, una regione scelta dal regime anche per numerosi altri oppositori politici. Precisamente, a San Fele e Melfi, benché non militi più nel PCI, dal quale era stato espulso nel 1939. Le ragioni di tale scelta furono indubbiamente le più varie. A pesare maggiormente fu, probabilmente, quella logistica. La regione offriva un territorio abbastanza tranquillo, con piccolissime realtà comunali, abitate da una popolazione esigua.

Manlio Rossi-Doria nel novembre del 1930 era già stato condannato a 15 anni di carcere dal Tribunale Speciale per tentativo di riorganizzazione del Partito Comunista. Nel 1935 aveva lasciato il carcere, stabilendosi a Roma come sorvegliato speciale della polizia. A giugno del 1940 era nuovamente stato  arrestato e inviato al confino, appunto, a San Fele, dove lo raggiunse la moglie Irene Nunberg con la figlia Anna. A dicembre la famiglia fu trasferita a Melfi dove nacque la seconda figlia Marina. Nella città normanna Manlio Rossi-Doria incontrò Eugenio Colorni, filosofo e personaggio di spicco del socialismo italiano, anche lui confinato a Melfi dopo aver trascorso un periodo a Ventotene, dove, con Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, aveva partecipato alla stesura del noto Manifesto Federalista Europeo. Restò al confino in Lucania fino al luglio del 1943, quando, con la caduta del fascismo, poté raggiungere Roma e partecipare alla direzione del Partito d’Azione.

A Roma, occupata dai tedeschi, insieme a lui operò anche la moglie Irene in qualità di redattrice di Italia Libera, quotidiano clandestino del Partito d’Azione. A novembre, Rossi-Doria venne arrestato proprio nella tipografia del giornale. Incarcerato, riuscì a fuggire e a riprendere la lotta sino alla liberazione di Roma.

Manlio Rossi-Doria conservò sempre un buon ricordo del periodo in Lucania, considerato come una dura prova, tale tuttavia da rafforzare i vincoli di solidarietà ed estendere le aspirazioni alla democrazia. Scrisse, infatti, successivamente: «Infinita fu la mia gioia nel ritrovarmi, per così dire, restituito all’Italia meridionale e alla campagna (alle quali avevo deciso di dedicarmi per ragioni politiche nel 1924, all’indomani del delitto Matteotti, quando si combattevano le ultime battaglie democratiche, per le quali l’impegno meridionalistica era essenziale) dalle quali ero rimasto lontano nei dieci anni dal 1930 al 1940. […] Gli anni del confino sono stati uno dei periodi più belli della mia vita: la vita di paese con i contadini e i pochi confinati […], con la speranza crescente della fine del fascismo, con un intenso lavoro intellettuale […], è stata, infatti, una vita piena».

In pieno centro storico si trova la casa in cui fu confinato dalla dittatura fascista Manlio Rossi-Doria. Per ricordarne il soggiorno, dal giugno al dicembre 1940, il Comune di San Fele ha posto una targa dinanzi all'ingresso dell'edificio. La Chiesa della SS. Annunziata è sita in piazza Marconi, di fronte alla casa natale di San Giustino De Jacobis, di cui dirò a breve. È una piccola Chiesa, forse la più antica di San Fele, di cui abbiamo notizia fin dal 1555. Presenta una semplice architettura, la sua facciata, tipica del barocco meridionale, è caratterizzata da un portale in pietra viva di San Fele con belle decorazioni. L’interno presenta una navata centrale e due spazi laterali, in uno, in passato, vi era collocato un sepolcro con la Statua di Cristo morto. Le volte ad arcate poggiano sui muri perimetrali; al centro l’Altare maggiore, è sormontato da una nicchia dove è collocata la statua in cartapesta della Madonna della SS. Annunziata, di pregevole fattura. Ai lati dell’Altare, in passato era disposto un ampio e luminoso coro, dove i membri della Confraternita della SS. Annunziata, fondata nel 1872, si raccoglievano per recitare i santi uffici ed intonare canti.

Il terremoto del 1980 ha provocato notevoli danni alla Chiesa, nonostante restaurata a cura della Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici della Regione Basilicata. È tra le Chiese più facilmente accessibili del paese, e proprio per questo motivo, vi si celebra la Santa Messa il sabato pomeriggio, per permettere l’accesso alle fasce più deboli della popolazione. Aperta al pubblico per le visite guidate nella storia (su prenotazione). La casa in cui nacque San Giustino de Jacobis, il 9 ottobre 1800, si trova di fronte. Recentemente restaurata, è meta di pellegrinaggi religiosi.

San Giustino de Jacobis (San Fele, 9 ottobre 1800 – Eidale, 31 luglio 1860) è stato un missionario lazzarista, divenuto vicario apostolico in Etiopia e vescovo titolare di Nilopoli. Figlio di Giovanni Battista de Jacobis e di Maria Giuseppina Muccia, il 17 ottobre 1818 egli entrò nella Congregazione della Missione (Lazzaristi) a Napoli e prese i voti esattamente due anni dopo. Venne ordinato sacerdote a Brindisi il 12 giugno 1824. Dopo aver trascorso un certo tempo nella cura delle anime ad Oria ed a Monopoli, divenne padre superiore prima a Lecce e poi a Napoli, presso la Casa dei Vergini.

Nel 1836 Giustino si trovava a Napoli, proprio mentre un'epidemia di colera colpì la città. In questa occasione Giustino dimostrò di avere particolari qualità caritatevoli verso i poveri e i malati. Nel 1839 fu nominato prefetto apostolico dell'Etiopia e gli fu affidata la fondazione delle missioni cattoliche in quel paese. Dopo aver lavorato con gran successo in Etiopia per otto anni fu nominato vescovo titolare di Nilopoli nel 1847 e poco dopo vicario apostolico dell'Abissinia, ma egli rifiutò la dignità episcopale finché fu obbligato ad accettarla nel 1849. Nonostante la prigionia, l'esilio ed ogni altro genere di persecuzioni da parte della Chiesa ortodossa etiopica, egli riuscì a fondare numerose missioni, a costruire scuole nell'Agame e nell'AkeleGuzay in Eritrea per la formazione del clero locale ed a porre le fondamenta della Chiesa cattolica etiope. Morì sulla strada per Halai, nella moderna Eritrea, ove contava di poter ristabilire la propria salute. Le sue spoglie sono conservate nella città di Hebo.

Il processo di beatificazione iniziò il 13 luglio 1904, sotto il pontificato di papa Pio X e si concluse il 25 luglio 1939, essendo papa Pio XII. Fu canonizzato nel 1975 da papa Paolo VI. La sua tomba è visitata sia dai cristiani che dai musulmani. A San Fele, città natale, il 30 e 31 luglio si svolge la festa in Suo onore.

 


Percorsi -  Cascate di San Fele

Sito naturalistico con vari percorsi lungo mulattiere e un torrente che dà origine ad una serie di cascate. Il Torrente Bradanello sgorga dall’Appennino Lucano in località Matise di San Fele in Provincia di Potenza, confluisce nella fiumara di Atella e poi nel fiume Ofanto-Mare Adriatico. Attraversando il territorio del comune di San Fele il torrente è costretto ad effettuare dei particolari salti di quota, dando origine alle numerose e caratteristiche Cascate di San Fele.

 

Percorso "U Urtone" - percorso verde

Si tratta di uno dei due percorsi che hanno accesso dal paese di San Fele per giungere alle cascate. Da luglio 2013 è possibile ammirare la cascata U Urtone (grottone) la più alta 22 m, ma con portata d’acqua minore, che si trova nel vallone Corbola. Si tratta di un affluente del torrente Bradanello. Una parte del percorso costeggia il torrente principale, in cui sono ben visibili le briglie in cemento e i gabbioni in pietra: opere di sistemazione idraulica, realizzate tra gli anni '50 e '60 per attenuare la forza erosiva dell'acqua. Sono presenti i ruderi di un antico mulino che verrà interamente ricostruito a breve.

Le Cascate prendono il nome da “U uattenniere”, la trasposizione dialettale di ”Gualchiera”, macchina utilizzata in antichi opifici, costruiti a ridosso delle cascate proprio per sfruttare la forza dell’acqua che cadendo su pale di legno mettevano in movimento dei magli (martelli) che battevano la lana tessuta. Con questa lavorazione si rendeva il panno di lana più resistente, pronta per le successive lavorazioni. La gualchiera di San Fele è rimasta in uso fino agli anni '40 del secolo scorso. Tuttavia, dopo la Seconda Guerra Mondiale visse un periodo di rinnovata operatività grazie al genio di un giovane e promettente artista, Angelo Gallicchio. Il 12 settembre 2014, con apposito decreto della Soprintendenza ai Beni Culturali di Basilicata, l’edificio della Gualchiera di San Fele, seppure allo stato di rudere, è stato riconosciuto come “bene culturale” di interesse storico, ambientale ed etnoantropologico, in quanto significativo esempio di tipologia architettonica rurale testimonianza dell’economia tradizionale del territorio di San Fele, legata alla storia e all’identità stessa delle popolazioni locali. La potenza dell’acqua veniva impiegata anche per il funzionamento di antichi mulini, i cui resti ancora oggi presenti, testimoniano l’ingegno e la devozione al lavoro dei Sanfelesi. Oggi possiamo ammirare gran parte delle Cascate di San Fele, riportate al loro antico ed affascinante splendore. Attualmente sono stati individuati e resi fruibili percorsi naturalistici, con diverse difficoltà di percorrenza, da quelli brevi e semplici a quelli più lunghi e impegnativi, studiati per permettere a tutti i visitatori di apprezzare al meglio la straordinaria unicità e bellezza del paesaggio che fa da cornice alle cascate di San Fele.

 

Cascata degli innamorati

Prende il nome dalla scena del bacio della fiction Il generale dei briganti, miniserie televisiva italiana, diretta da Paolo Poeti. Il protagonista è il brigante lucano Carmine Crocco (denominato "Generale dei Briganti"), un personaggio che ha suscitato pareri opposti, tra chi lo considera un semplice bandito e chi un eroe popolare, che ha contribuito, tuttavia, alla storia del Risorgimento. La fiction, suddivisa in due puntate, è andata in onda per la prima volta su Rai 1 il 12 e 13 febbraio 2012 ed è stata prodotta per i 150 anni dell'unità d'Italia. “All'indomani dell'unità d'Italia, tutta la zona fu coinvolta nel brigantaggio e famosi briganti come Giovanni Fortunato, detto "Coppa", Vito Di Gianni, detto "Totaro" e Francesco Fasanella, detto "Tinna", si distinsero come luogotenenti del famigerato capomassa Carmine Crocco.”

 

Percorso "Il Paradiso" - percorso blu

Percorso turistico (T): 600 m da percorrere in ca 15 min La particolarità di questo luogo è rappresentata dall'assoluto silenzio circostante e dallo scroscio lento dell'acqua. Nel periodo estivo la cascata si riduce ad un pozzo profondo più di 6 m.

 

Percorso "Le gemelle" - percorso rosso

Percorso turistico (T): 300m da percorrere in ca 10 min. Il percorso conduce ad una delle più suggestive cascate di San Fele, "Le gemelle". La cascata è stata così rinominata poiché costituisce il punto di incontro di due cascate, originate rispettivamente dal torrente Acquafredda e dal Torrente Bradanello, che confondono le proprie acque in un delizioso laghetto.

Percorso “Conca d’Oro” è quello che si è aggiunto lo scorso anno. Ingresso a pochi passi dal paese, vicino The Oliver St John Pub. Si tratta di un percorso affascinante nel verde, che conduce alla scoperta di questa meravigliosa cascata naturale originata dal torrente Corbola. D’estate la cascata va in secca.

 

I Nostri Boschi

Il patrimonio boschivo di San Fele rappresenta una forma di valorizzazione del turismo. Il turista può trovare un’atmosfera calma e riposante, l’aria pura, un’apparenza di libertà, la possibilità di praticare attività sportive come: la marcia, le escursioni, l’equitazione, le scalate … Tra l’altro i boschi sanfelesi offrono numerose sorgenti di acqua e sono ricchissimi di fragole e funghi. Tutti potranno trovare il modo di passare ore e giorni gratificanti fra alberi ad alto fusto o nei prati, al contatto con la natura, i fiori, gli animali selvatici, nel silenzio rotto solo dalla voce dei torrenti o dal canto degli uccelli.

Flora: castagni, faggi, querce, frassini, abeti, aceri montani, pioppi.

Fauna: lepre, volpe, lupo, faina, cinghiale.

 

Sono sentieri e mulattiere che hanno una storia antica: sono questi i luoghi dove nel passato avveniva la transumanza, antica abitudine di migrare con le greggi nel periodo estivo.



cascate
cascate2
cascate gemelle
chiesa santa maria di pierno
panorama
panoramica
panoramica borgo antico
quartiere costa

 

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panorama

San Fele

San Fele

Ruvo del Monte

Ruvo del Monte

Ripacandida

Ripacandida

Rionero in Vulture

Rionero in Vulture

Rapolla

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Melfi

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Ginestra

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Barile

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Atella

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